Masseria Cantone

 

MASSERIA CANTONE

di Raffaele de Seneen  e  Romeo Brescia

La strada di campagna, una strada vicinale, è dritta, sterrata, sconnessa: avvallamenti, dossi, buche. Le cunette laterali non si vedono perché ricolme di erbe selvatiche dove spiccano i fiori blu-violetto della malva sotto l’ondeggiare, ad ogni refolo di vento, dei più alti ed esili steli di avena selvatica con il pennacchio dei semi chinato come il capo di un bambino sul collo della mamma.
Sopra a tutto spiccano i cardi ormai alti, ormai incommestibili, il bon-bon del fiore già appassito, qualche giorno ancora e i cardellini troveranno i loro semi preferiti.


Ai piedi di questa “foresta”, nascosti, timidi e profumati cespi di rucola, ancora teneri i germogli apicali che si sono abbeverati dell’umido creato dalla guazza mattutina che stilla dalle altre piante e impregna il terreno. Le foglie più grandi sono tarlate, ma più profumate. Ne raccogliamo un po’ per un buon piatto di pasta, rucola e patate con pomodorino fresco. Ed è proprio in questo “sottobosco” che si trovano le prime lumache che hanno rotto il panno protettivo uscendo dal letargo. Risaliranno, sempre più su, fino alla cima dei cardi rinsecchiti dai raggi del sole, lasciando luccicanti tracce d’argento; allora si che si potranno raccogliere e mangiare, perché stanno sul secco, procedendo con le antiche tecniche di cottura: in acqua fredda che va poi lentamente riscaldata finché escono fuori dal guscio (pensano che stia piovendo poverine!), e poi all’improvviso una botta a cento gradi; rigirate in aglio, olio e un po’ di pomodoro, o a insalata con olio, aceto, aglio e menta.
Più alti dei cardi, molto più alti e a distanza regolare i pali di cemento della corrente elettrica, per un lungo tratto l’unico segno di civiltà, a parte il grano, da una parte dall’altra della strada, che qualcuno avrà seminato. Un manto verde, con spighe già pronte ma non ancora completamente piene. Quindici-venti giorni e sarà una miniera “d’oro”.
Poi all’improvviso appare uno scorcio di “tardo medio evo”, prima tre casette una attaccata all’altra, i tetti spioventi, e subito dopo una struttura elegante, un palazzotto signorile.

Dalla garitta di avvistamento non parte nessun allarme, sembra un posto incantato, bloccato nel tempo, la scena di un film la cui colonna sonora è il silenzio.
Dov’è il vassallo? E la dama del vassallo con i servitori ed i famigli? E gli armigeri?
C’è solo una colonia di colombi ormai inselvatichiti che prende il volo dall’elegante colombaia di cui ha preso possesso. Partono all’improvviso, i maschi in cerca di cibo mentre le femmine covano o accudiscono i nuovi nati. Altre coppie sono in formazione, impegnate nel solito rito di corteggiamento, il maschio impettito gira intorno alla femmina e gli fa la serenata col suo tubare gutturale.


Viene da pensare che chissà quando, chissà perché, forse per uno strano sortilegio, gli abitanti d quel “maniero” siano stati trasformati in colombi.
L’assenza del grande portone d’ingresso mette a vista la scalinata che porta al piano superiore depredata di scalini, corrimani ed ogni altro orpello. Le nicchie dei santi o dei numi protettori sono vuote.
Le alte erbacce circondano tutto, ma la parte di mura cadute, le finestre senza infissi, mostrano, è proprio il caso di dirlo, uno “spaccato” di quel che resta.

Altri manufatti di servizio, coevi a questa antica masseria databile fra fine ‘700 e inizi ‘800 risultano ormai inaccessibili e nascosti da alte ramaglie di arbusti infestanti.
Alle spalle, contiguo al fabbricato principale svetta l’alto camino della “bufalara”., qui da noi lo chiamano “pavaglione”. Dall’esterno la struttura pare bassa e tozza e non fa immaginare le caratteristiche interne che sviluppano una grossa volumetria con l’alto camino di mattoni ancora anneriti dal fumo che si alza verso il cielo fine a mostrarne un pezzettino.

Nel terreno brullo accanto, un pezzetto d’oasi, un albero di palma rigoglioso, Forse quella palma è stata piantata durate la permanenza delle truppe alleate del SAAF, la forza aerea sudafricana in servizio a Foggia durante la seconda guerra mondiale, che istituì, proprio in quella masseria, il quartier generale di uno dei suoi campi di aviazione strategici: ‘Campo Celone Foggia One’.

Qui il tempo si è fermato, ma per noi corre ancora e bisogna andare via con un gusto di dolce-amaro nella bocca.
Si torna indietro, le tre casette contigue alloggi di salariati fissi, i pali dell’energia elettrica, la strada scomoda e sterrata.

Ringraziamo l’amico Francesco Maida per le bellissime fotografie scattate nell’occasione.

 

Novembre 2020  

Articoli recenti