Palazzi settecenteschi

PALAZZI SETTECENTESCHI

di Raffaele de Seneen  e  Romeo Brescia

Alcuni con l’interno precluso alla vista per non assistere al loro progressivo decadimento (vedi Pal. Trifiletti-Giovese C.so Garibaldi), altri in bella-vista ( vedi Pal. Villani-Marchesani, Pal. De Vita-De Luca….) dove l’occhio, nella quotidianità, non coglie l’incuria e la disattenzione che si stratificano nel tempo.

Altri nascosti (vedi Pal. Barone in vicolo S. Giuseppe…) fra viuzze e in luoghi di scarso passaggio. Grandi portoni in legno, che danno su immensi atri con alte soffitte a volta, il ricovero per la carrozza di famiglia e sul fondo le scale che danno al piano superore.

Si salvano, stranamente, quelli di proprietà pubblica: Palazzo Dogana, Palazzo Galiani-Filiasi (Sede dell’Archivio di Stato) recentemente ristrutturato.

Quanti segni, segni del passato: attacchi per cavalli, doccioni, mascheroni. Segni molto più diffusi e conosciuti,  altri più rari forse perché d’importazione, come “contaminazioni architettoniche”.

Per cogliere questi ultimi, per la verità pochi rimasti data la loro pericolosità per la posizione in cui si trovano, bisogna osservare i balconi di un palazzo signorile dell’epoca ( vedi Pal. Ciampitelli- De Angelis, Pal. Mongelli-De Paola, Pal. Tortorelli…) in particolare la ringhiera in ferro battuto che porta sui due angoli superiori un particolare appoggio.

Balcone del Pal. Mongelli-De Paola in via Le Maestre.

Si tratta di una sovrastruttura metallica a tre o quattro braccia, spesso artisticamente lavorata (intreccio, foglie) avente al centro uno spuntone dello stesso materiale. Trattasi degli alloggiamenti del “pumo”, più volgarmente detto “pigna”.

 

Dal web:

“Il pumo ricorda un germoglio nell’atto del fiorire: possiede l’estremità superiore terminante a punta e alla base è avvolto da delle foglie di acanto. Il termine deriva dal latino pomum, “frutto”, e si ricollega al culto della dea romana Pomona, che era la protettrice dei frutti. In alcuni dialetti pugliesi il pumo si definisce Pumo dè fiure, “bocciolo di fiore”, e, infatti, è simbolo di prosperità e di fecondità (nonché di castità, immortalità e resurrezione). Inoltre, per la tradizione popolare svolge anche una funzione apotropaica: infatti, si crede che propizi il buon auspicio e allontani il male. Per questo motivo si possono ammirare i pumi all’ingresso delle case tradizionali o sulle facciate dei palazzi signorili (in antichità erano anche parte degli stemmi araldici delle famiglie altolocate pugliesi).”

La foto in alto riprende il balcone di un palazzo settecentesco, con gli spuntoni ad oggi ancora presenti, in Piazza Mercato. La foto in basso trattata con tecniche di fotomontaggio è solo dimostrativa.

Il pumo è fatto di ceramica anche variamente colorata, vuoto all’interno e con un foro sotto la base che gli consente di essere attraversato dallo spuntone metallico per assicurarne la stabilità.

Raro dalle nostre parti, molto più diffuso nelle zone della Puglia dove la ceramica viene lavorata.  Sicuramente nel  corso degli anni la sua forma e i colori  si sono adattati all’esigenze ed occasioni, oggi trova largo impiego come oggetto da collezione ed abbellimento nelle case, spesso usato anche come bomboniera.

La sovrastruttura metallica, braccia e spuntone, oggi ospita sempre più spesso piante fiorite al posto del pumo diventato più raro.

 

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