Foggia. Bombardamenti del 1943

Foggia, Bombardamenti del 1943.

Dal diario di mia madre Faustina Caputo Petrozzi.

di Annamaria Petrozzi Simone 

28. 5. ’43

Primo bombardamento al campo d’aviazione “Gino Lisa”. Poche vittime fra i soldati, distrutta una casa colonica nelle vicinanze.

Prima d’ora nessun bombardamento si era mai verificato; insistenti gli allarmi, lunghe soste nei rifugi, ma poi nulla di rilevante. Si riteneva che gli americani avessero voluto risparmiarci: alcuni dicevano che ciò l’avrebbero fatto perché il sindaco di New York, Fiorello La Guardia, è nativo di Foggia, altri perché saremmo stati protetti dalla Madonna dei Sette Veli. Tutte vane illusioni. Purtroppo invece bisogna ormai essere convinti che la fanno sul serio anche con noi e tenerci pronti ad inevitabili sgraditi eventi.Petrozi Simone

 29. 5. ’43

Altro bombardamento al campo “Gino Lisa”.

31. 5. ’43

Un terzo bombardamento in tre ondate consecutive si è oggi verificato sulla nostra città nella zona della stazione ferroviaria e quartieri limitrofi. La nostra abitazione, situata ad una cinquantina di metri da questo importante obiettivo militare, ne è rimasta miracolosamente illesa; all’infuori della rottura completa dei vetri delle finestre non abbiamo avuto altro danno. Un vero miracolo!

Io e la mamma nel 1940.

Alle 11 e 45 è suonata la sirena. Quel tremendo sibilo mette addosso un tale panico da paralizzare ogni facoltà  di movimento. A differenza delle altre volte siamo tutti scappati dall’ufficio per raggiungere il più vicino rifugio o la propria abitazione. Per fortuna nessuno dei binari era ingombro di treni così che in men che non si dica io ho potuto infilare il portone di casa. Appena scese le scale del rifugio e congiuntami con Annamaria e Adria, la bufera si è scatenata. La luce si è spenta, scricchiolio delle travature anticrollo, grida di terrore dei piccoli, preghiere dei grandi. Che raccapriccio! Che forza di nervi per imporre un po’ di calma ai bambini. Annamaria, stretta a me gridava: “Mamma. portami via da questo carcere, voglio uscire, mi soffoco”. Difatti, per la caduta dei calcinacci e la polvere sprigionatasi in quell’angusto ambiente per lo spostamento d’aria, a mala pena si poteva respirare. Subentrata un po’ di calma, alle ore 14 abbiamo lasciato il rifugio. Quale triste quadro! La stazione, le officine completamente abbattute, lingue di fuoco e dense nuvole di fumo formavano uno sfondo terrorizzante. Molto vittime nell’ambito ferroviario, grida di dolore da parte dei familiari in cerca dei loro cari. Sembravamo tutti impazziti, non avevamo neppure il coraggio di salire nei nostri appartamenti per prelevare un mantello, una coperta, qualche cosa, insomma, di più necessario, di più caro. Il terrore della morte ci allontanava dalla nostra casa forse anche senza rimpianto.

 3. 6. ’43

La vita che trascorriamo in questi giorni è insopportabile. Non abbiamo più tregua per dormire, più tempo per mandar giù un boccone, più calma per lavorare. E’ un continuo correre nei rifugi, un continuo sospendere ogni azione vitale per sostare di giorno o di notte in quelle tane fetide e malsicure. Il mio tormento è Annamaria. Se il sibilo della sirena si fa sentire di giorno non posso più portarmi da lei perché ormai risiede troppo lontano ed io non ho il tempo che di raggiungere il rifugio del palazzo dell’acquedotto. Se di notte, mi sanguina il cuore per doverla svegliare per forza e trascinarla mezza addormentata in un piano terreno dove ci illudiamo di essere un po’ più al riparo. Là rannicchiate tutte e tre dietro un letto, al buio, biascichiamo preghiere mentre la tensione nervosa a volte raggiunge tale spasmodica agitazione da procurarci brividi di freddo, sofferenza allo stomaco e altro. Ieri sera, ad esempio, Annamaria in tutto quel trambusto rigettò. Come posso continuare a tollerare questo grave stato di cose? E’ impossibile. Io stessa non ne posso più. Se riusciremo ad ottenere un mezzo per scappare, andremo in qualche posto più sicuro. Abbiamo una gran sete di sonno. Continuando così finiremo senz’altro con l’ammalarci tutti sul serio.

 

Articoli recenti