GIOVANNI MACCIONE

“LAMPI, STORIE & SCORIE DI UNA GUERRA”

GIOVANNI MACCIONE

 

Io l’ho conosciuto. Bella figura di uomo retto ed onesto, lavoratore (I.P.Z.S. – Cartiera di Foggia), impegnato in ambito sindacale con un’attività intensa, sempre proteso al dare e mai a chiedere per se. Bella parlantina e contatto diretto con la gente ed i lavoratori.

Giovanni Maccione

Giovanni nasce a Foggia il 5 ottobre 1919, militare di leva viene assegnato al SRER (Squadra recupero e ricostruzioni) dell’aeroporto di Forlì dove il  5 giugno del 1940 ascolta il discorso di Mussolini che annuncia dell’avvenuta dichiarazione di guerra a Francia ed Inghilterra.

Le sue missioni per il SRER toccano anche paesi come l’Albania e la Iugoslavia.

L’8 settembre è a Pola, presso l’Idroscalo di Puntisella, dove era stato trasferito.

Inquadrato sotto l’occhio vigile e sospettoso dei tedeschi  compie un lungo viaggio che lo porta, via mare e via terra, a Venezia, Padova, Treviso e infine Udine, aeroporto di Campoformido.

Chiede ed ottiene il congedo previsto per la classe 1919 ed è avviato a Savonera (TO) che funziona da centro di raccolta e definizione pratiche anche dei congedanti. Si trattiene in zona in attesa degli eventi ospite di una famiglia del posto.

Ha un primo contatto con i partigiani quando, da solo e in bicicletta, riesce a rintracciarne il comando sulle montagne circostanti per perorare la liberazione di un aviere, suo amico, che era stato prelevato dagli stessi, in quanto armiere necessario a quella formazione per un certo periodo di tempo come ebbe a spigargli lo stesso comandante del gruppo.

E’ ancora in zona nel maggio del ’44, più volte fermato per controllo documenti da ronde fasciste che lo sollecitano a presentarsi volontario [della Repubblica di Salò].

Ma se gli eventi erano ancora da definirsi, Giovanni aveva già maturato la sua scelta.

Ancora in bici, sulla canna Perin, il capofamiglia che lo ospitava e che aveva contatti coni i partigiani locali, si fa accompagnare al loro comando.

Il contatto avviene con tutta l’attenzione e la circospezione del caso, i tempi che si correvano lo imponevano, e l’unica garanzia del giovane meridionale foggiano era costituita dalla conoscenza del Perin.

A contatto avvenuto, il neo-partigiano “Gianni” e gli altri risalgono la montagna.

Quel certo odore di caffè

Riprendiamo dal suo racconto: “Ci incamminammo a piedi, eravamo in quattro […]. Lungo il percorso molto accidentato, fatto di sali e scendi, viuzze e cespugli ci imbattiamo con dei partigiani che trasportavano una grossa pentola: Uno di questi giovani m’interrogò, chiedendomi: Sei di Foggia? Confermai dicendogli: Non ti conosco! – Io invece si, ti ho conosciuto durante le solite passeggiate per il corso. Si chiamava Luzzi Amleto [un altro “pezzo” di Foggia nella Resistenza].

A fine agosto è ancora fra i partigiani. Si offre, unico volontario che risponde alla chiamata del Comandante Bill, per un’azione di recupero armi e munizioni  conservate su una altura su cui i nazi-fascisti stavano esercitando una rilevante pressione e per questo andava abbandonata.

Giovanni, un carretto trainato da un mulo ed un soldato russo fuggito da un campo di concentramento, questa è la formazione che doveva compiere l’azione di recupero.

Giovanni scrive: “Ci recammo sul luogo, con difficoltà, sotto il fuoco nemico. Riuscimmo a rilevare una gran quantità di polvere e munizioni. Il diluvio di colpi erano sparati da non molta distanza. Comunque, riuscimmo a portare in porto l’intero quantitativo”.

In seguito il gruppo si scioglie e Giovanni raggiunge nuovamente Sovanera. Trova lavoro a Torino presso una “Fabbrica di automobili”.

Terminato il lavoro presso la “Fabbrica” si reca a Milano per presentare domanda di assunzione alla SRAM, dove riesce a scampare ad un feroce rastrellamento in atto da parte di soldati tedeschi solo grazie all’esperienza accumulata.

Anche questa opportunità di lavoro svanisce, ma in seguito riesce ad aggregarsi alla SOAMA (autotrasporti) che lavorava per conto della SEPRAL nel campo della distribuzione viveri alla popolazione.

Il 25 aprile, giorno della Liberazione, è a Torino: sangue e morti per le strade, la guerra civile si conclude con le ultime pallottole dei cecchini fascisti che di mano in mano vengono eliminati. Tornato a Savonera è lui che da la notizia che la guerra è finita.

Qui riprende i contatti con i partigiani che arrivano con un gruppo di prigionieri tedeschi e un bottino di armi, muli, zaini e biciclette. Giovanni viene incaricato di inoltrarsi sulla strada per Collegno al fine di verificare eventuali presenze di nemici. Nell’occasione intercetta tre soldati tedeschi e con altri tre partigiani procede alla loro cattura. 

Infatti Giovanni Maccione si reca in una località del torinese, in un centro raccolta, per consegnare parte del materiale confiscato ai tedeschi.

“L’inverno 1944/45”, racconta Giovanni “fu eccezionale per freddo ed intensità di nevicate. Sui vetri della modesta casa di Savonera spesso si formavano strabilianti disegni di fiori per lo specchio di ghiaccio che calava”.

Giovanni trascorse in zona quel periodo dedicandosi al taglio di alberi e all’estirpazione delle loro radici, questo assicurava un minimo di riscaldamento alla modesta casa ed alla altrettanto modesta famiglia che lo ospitava; dedicandosi anche ad “ingrassare i tacchini”, quando ve ne erano. Tutto questo serviva a sdebitarsi del tavolaccio offertogli per dormire e la zuppa di cavoli per pranzo e cena.

Di quella giornata, il 25 aprile, Giovanni ci lascia scritto: “Dovrà essere per tutti i cittadini del mondo una data MEMORABILE da non dimenticare e da trasmettere ai posteri quale monito e certezza di un definitivo riscatto dell’umanità dalle barbarie crudeli, impietose, distruttive, che stanno a rappresentare il degrado, la vera vergogna per quelli che si definiscono UMANI”.

E ancora ricorda: “Sul Viale Moncalieri [Torino], l’Hotel Principe, l’avevano attrezzato per accogliere tutti i partigiani in smobilitazione, con la concessione dei nuovi vestiari e l’approntamento di un pasto caldo”.  A lui venne affidato dal Comando l’incarico di consegnatario, la responsabilità di tutta la movimentazione.

Siamo nel giugno del ’45, Giovanni rientra a Foggia, è già a conoscenza che “Foggia, con i bombardamenti, era stata ridotta in pietre e polvere”, e approfitta di un autobus con destinazione Lecce per il trasporto di ufficiali dell’aeronautica, sa che: “sarebbe dovuto passare per Foggia”.

                                                                                                                                             

Per gentile concessione dei figli

 

Di Raffaele de Seneen e Romeo Brescia  – Pubblicato il: 7 Nov 2013

 

Articoli recenti