Le Baracche

“LAMPI, STORIE & SCORIE DI UNA GUERRA”

LE BARACCHE

Di Raffaele De Seneen 

         La gente fece di tutto, sfruttò tutto pur di avere un tetto sulla testa: Abitò in tende lacere, nelle grotte, nelle case e palazzi lesionati ma che ancora si tenevano su, nelle palestre messe al disposizione dall’amministrazione pubblica, alle Casermette.La coabitazione forzata di più nuclei familiari era al’ordine del giorno, la disponibilità alloggiativa di Foggia era  stata sensibilmente compromessa dai bombardamenti aerei dell’estate del ’43.

Foggia era da ricostruire, si tamponava come si poteva.

 Io ricordo le baracche di legno, le ho conosciute, le ho frequentate perché ci abitavano dei parenti. La zona, più o meno una traversa del Viale della stazione, forse quella dell’ENPAS, giù in fondo.
C’è chi dice che fossero state tirate su per la bisogna, altri, che erano alloggiamenti militari in disuso.
Sopraelevate su una specie di piattabanda il calcestruzzo, un paio di gradini per l’accesso. Fuori, all’esterno, si mettevano le donne con le “fornacelle” per cuocere il pranzo. Un lungo camerone, lungo quanto il corridoio comune che terminava da una parte con l’unico cesso alla turca, dall’altra con un vano comune più grande tipo lavanderia, c’era un lavandino mi pare e acqua corrente.
Lungo il corridoio porte, dietro ogni porta una stanza neanche grande. Tutto era concentrato lì, la famiglia e quello che aveva.
Legno fuori, legno dentro, pareti divisorie con assi di legno affiancate che andavano “zeppate” di carta di giornale per un minimo di intimità, per non vedere e farsi vedere da chi stava dall’altra parte. Le voci filtravano come la luce da un finestra di cui era dotato ogni vano
Credo che furono assegnate fra il ’46 e il ’49, la gente restò lì, il riferimento è ai miei parenti, finché non fu costruito il primo nucleo del Rione Martucci.
Dicono che c’erano anche delle baracche bifamiliari, immerse in una pinetina, io non le ho viste, non le ricordo, le chiamavano “flambò”, ed altre strutture in muratura, c. d. “palazzine”.Bambini

Ricordo il modo in cui si viveva nelle baracche, fatto di stentata ripresa e speranza, dell’arte di arrangiarsi quotidiano.

A casa mia gira ancora solido e rispettato un banchetto di legno, lo costruì Mast’ Pèppe che in quel vano comune della baracca si arrangiava a fare qualche lavoretto di falegnameria con materiale recuperato. Mia madre in cambio gli diede qualche chilo di farina.
Capitava, non di rado, che andavamo a trovare i parenti che abitavano alle baracche, Via Montegrappa – Baracca F, si stava una giornata insieme, stretti e contenti di dividere a pranzo quello che si riusciva a mettere insieme.

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