Le pezze americane

“LAMPI, STORIE & SCORIE DI UNA GUERRA”

LE PEZZE AMERICANE

di Raffaele de Seneen

Foggia famosa, rinomata e conosciuta per l’antica fiera che si teneva in coda al periodo della transumanza. I pastori, i locati prima di riprendere il viaggio di ritorno, con le greggi, verso i paesi di provenienza dovevano vendere ciò che avevano prodotto: lana, formaggio, agnelli, pelli per pagare la “fida”.
Foggia della tradizionale Fiera di Santa Caterina, sempre più logisticamente emarginata, ma sempre frequentata, almeno per consuetudine, per guardare, per lo “struscio” gomito a gomito immersi nella folla.
Poi, la grande struttura fieristica di Via Bari, la Fiera dell’Agricoltura, sempre meno agricola, sempre più “cianfrusagliosa”.
Foggia del Marcato Generale di frutta e verdura e dei mercatini di quartiere: Ginnetto, Rosati, Carmine vecchio, più di recente il mercatino dell’ “antiquariato” a cadenza mensile, quello fisso dei polacchi, ora tutti magrebini, a piazza Libanese. Bancarelle volanti di frutta e verdura targate “FG” in ogni angolo della città, e una fila di scatole di cartone su un tratto di marciapiede di Corso V. Emanuele, banchi di lavoro improvvisati dei “vu’ cumprà” in continua lotta con i vigili urbani.
Il settore primario, l’agricoltura, soffre, il terziario, almeno quello che non ha bisogno di vetrine ma si accontenta di una bancarella o di un lenzuolo steso per terra, si diversifica, aumenta.
Beh, chi viene da fuori, in un modo o nell’altro, può ritrovare un pezzo della sua città, ma se gli parli di “venerdì” o di “pezze americane” glielo devi spiegare in maniera più potabile.
Il Mercato del Vnerdì, “Il Venerdì” e “le pezze americane” fanno riferimento sempre allo stesso fenomeno economico-sociale. Non so se è nato prima “Il Venerdì”, o se intorno alle “pezze americane” si è sviluppato il primo. Di sicuro c’è che le “pezze americane” sono figlie e frutto di una guerra, la seconda, quella combattuta prima contro, poi a fianco degli “americani”.
Brutti i tempi del periodo bellico, tristi quelli successivi, dove ognuno s’inventava commerciante e vendeva o barattava quel poco di cui poteva fare a meno per procurarsi quello che gli era indispensabile.
Un po’ come oggi dopo una guerra combattuta dai mercati e dalla finanza, dove la paura si misura in “gradi spread”, il denaro non trova più il rifugio naturale (banche, investimenti) perché ce n’è sempre meno.
Torniamo alle “pezze americane” che così per scherzo dico che facevano parte di quel “pacchetto” chiamato “Piano Marschall”.
Si perché l’America dopo averci messi in ginocchio quando eravamo cattivi, ci tese una mano e ci risollevò con quel “piano” una volta tornati bravi. Arrivò di tutto in Italia, ma non solo, anche negli altri paesi che erano usciti dalla guerra con le ossa rotte. Macchinari, attrezzature, grano, medicinali e quant’altro arrivavano via mare dall’America.
So di latte in polvere, e ricordo personalmente il sapore e il colore giallo-arancio di un tipo di formaggio fuso.
Credo che la ripresa del Paese ed il successivo boom economico affondino le radici negli effetti benefici di quel piano.
Ma tornando all’argomento, alle “pezze americane”, chiarita ora la provenienza, si trattava soprattutto di indumenti usati di ogni genere che in grossi “balloni “ venivano scaricati nei porti italiani, poi acquistati a “scatola chiusa”, forse a peso, e poi tramite quei canali commerciali che pian piano andavano riprendendo arrivavano su piazze e mercati italiani, anche a Foggia al Mercato del Venerdì-Pezze americane.
Non credo proprio che questo materiale rientrasse nel piano Marschall rispetto al quale ha un aspetto molto marginale, seppur importante per la situazione e l’economia dell’epoca. Ci vedo più un senso solidaristico del popolo americano e della forte componente di nostri emigrati e l’intelligente intuizione di canalizzare verso paesi come l’Italia ciò che lì veniva dismesso o scartato nei cambi di stagione. Un po’ come quando arrivarono gli albanesi da noi.
Il fenomeno delle “pezze americane”, per quanto marginale, assunse grosse dimensioni per quelle parte di commercio minore a cui però faceva riferimento un vasto bacino di utenza e di interesse per i disagi lasciati dalla guerra.
Si racconta di gente che ha trovato messaggi, lettere nelle tasche di quegli indumenti, roba dimenticata, a volte un saluto proveniente da oltreoceano da un italo-americano che voleva stabilire un contatto ideale con la sua terra, la sua gente.
Si dice che qualcuno abbia trovato dollari. Dimenticati! Chissà?
Certo è che per “pezze americane” si va ancora al nostro Mercato del Venerdì, anche se di americano non hanno più niente, tutta roba nostrana, e continuano ad essere sicuro approdo, un buon bacino di pesca non solo per i “nuovi italiani”, ma anche per le nostre donne, quelle che hanno “occhio” per pescare il pezzo buono a buon mercato. Gli uni e gli altri accomunati dai bisogni che si rinnovano e ritornano.

“Ah l’America quanto è bella,
ah l’America quanto è bella,
l’America è nostra sorella
trallallero lallero lalla”

Così il ritornello di “Trenta giorni di nave a vapore”, un canto dei nostri emigranti.

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