Oro, incenso e …..

“LAMPI, SCORIE & STORIE DI UNA GUERA”

di Raffaele de Seneen

Oro, incenso e …..

…. no, credo di essere partito male, ho fatto un po’ di confusione, mi sono infilato in una ricorrenza di pace: il Natale, i Re Magi con i doni, il Bambinello.
Provo a ripartire: oro, ferro e rame, il metallo c’è sempre, e anche l’atto del dono, più o meno.
Le cose partono nel 1935, lampi di guerra, avvisaglie, la preparazione, lo scivolamento ed il coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale.
Dopo l’incidente di Ual Ual, l’Italia attacca l’Etiopia, la Società delle Nazioni condanna l’atto e stabilisce delle sanzioni per il nostro Paese. La Storia dice che non tutti gli stati le osservarono e che comunque furono più una cosa dimostrativa.
Sarà così o no, divenne l’occasione per rinvigorire l’orgoglio italico, mostrare i muscoli alla “perfida Albione”, attestare la nostra capacità nel “fai da te”: l’autarchia.
Saltando i particolari, e venendo al quotidiano dell’epoca, forse perché le finanziarie per rastrellare soldi con le tasse non erano state ancora inventate, si chiedeva alla gente di “donare” quello che possedeva e che più valore aveva per il momento contingente.
Così si partì con la campagna dell’ “Oro alla Patria” che troverà il suo culmine nella “Giornata della Fede” quando tutti furono invitati a donare alla Patria la propria fede nuziale.
Insieme alla fede, per il vero, furono conferiti, come in una gara e per chi se lo poteva permettere, altri oggetti di metallo prezioso. La raccolta raggiunse le 37 tonnellate d’oro, e 115 d’argento. Le fedi venivano sostituite con altra di una lega molto leggera.
La mia nonna materna quando lo raccontava si torceva le mani e si rabbuiava in viso.
Poi, nel 1940 venne il momento di offrire alla Patria anche i metalli meno nobili: rame e ferro.
“Con l’ultimo giorno dell’anno scade il termine per la consegna degli oggetti di metallo necessari alla produzione bellica. Oltre alle pentole di rame, denunciate per obbligo di legge, sono cedute anche le recinzioni, ad eccezione dei cancelli veri e propri. Oltre 50 chilometri di cancellate in ferro vengono fuse: alcune di grande pregio artistico, come quelle del Baraccano. Tra le poche che si salvano è la recinzione di villa Gazzoni in via degli Scalini”
[Cronaca di Bologna]
I più giovani, Balilla, Figli della Lupa, ecc, erano come cavallette in un campo di grano: letti in ferro, biciclette, di tutto e di più in una caccia al tesoro a superarsi.
Fu con il rame (la rama, la rame), insomma il pentolame di cucina che all’epoca si utilizzava perché sottile e buon conduttore di calore, che qualcuno riuscì ad imboscare qualche pezzo.
Per le donne, massaie, madri di famiglia era un dolore troppo grande, il loro vanto, sempre pulito e lucidato appeso ad un quadro di legno su una parete nella cucina, molte volte importante componente della dote nuziale portata.
Ma tant’è che anche quei tegami, letti, ecc. andarono a finire di imbandire i campi di battaglia.
La nonna materna alzava gli occhi al quadro dei tegami in alluminio e pensava a quelli di rame che aveva “donato”.
Poverina, quella già si era fatta la 15/18, a modo suo, perché gli restò un po’ di bestiame da accudire, le terre e due figlie piccine quando il marito partì per il fronte.
Raccontava che andava a prendersi il “soldo” che gli spettava per il marito in guerra, una lunga fila di donne, da qualche parte, non so dove, a Foggia, quasi tutte vestite di nero, chi già vedova di guerra, chi pronta a diventarlo. Che qualcuno, forse i non interventisti, le apostrofava come “puttane di guerra”, e lei non andò più a prendere il “soldo”, delegò una sorella minore.
Ma tornando al “ferro alla Patria”, so che Foggia ci rimise, fra l’altro, la bella ed artistica cancellata che circondava la Villa comunale proveniente dalla Reggia di Caserta

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