MUSE FOGGIANE
di Raffaele de Seneen e Romeo Brescia
E’ il 1849 quando a Foggia approda, ospite di Don Ferdinando Villani, il poeta Giuseppe Regaldi (Varallo 1809 – Bologna 1883), un poeta viaggiatore.
Ne scrive il figlio del Villani, Carlo, in un opuscoletto edito nel 1896 dal titolo “Giuseppe Regaldi a Foggia”
Lo sperticato elogio al poeta permette però di aprire alcuni squarci su Foggia e la sua gente dell’epoca, una piccola galleria di dipinti impressionisti.
Scrive il Villani che il poeta “soffermavasi sovente a meditare” presso i ruderi del palazzo di Federico II “nella Foggia sveva”, una zona che stava rinascendo dopo il terremoto del 1731, case basse, come “modesto n’era il palazzetto, ritinto di un gialliccio a calcina, ad un piano solo” dove dimorava Enrichetta “una bionda fanciulla dalle cerulee e passionate pupille” conosciuta in un ricevimento e per la quale scrive:
O Enrichetta gentil, tu mi vedesti
Immbil, muto, inteso al pio strumento,
da cui destando un vivido canceto
mi trasportavi in cielo entro i celesti.
[….]
O ninfa uscita da un’arcana stella,
io rivolgendo a te l’alma inquieta
sentii che un Dio dall’arpa tua favella.
Trascorre solo qualche giorno, e il poeta in viaggio, su un “phaèton” (carrozza scoperta) guidata da Don Ferdinando, per tener “pubblica accademia nel teatro di Lucera”, mentre i due focosi morelli, a briglia sciolta, stanno attraversando le ultime case della città, su un “veroncello” nota una “bruna fanciulla dai lucidi e neri occhioni”.
Dopo la musa bionda, la musa bruna, e il poeta chiede di fermare la carrozza in piena campagna, e improvvisa, e canta:
Apersi desioso i lumi al giorno
e il sol lassù nel cielo io non cercai,
ché ansio gli sguardi rivolgendo intorno
te, Olimpia, sul verone io guardai
[…]
E’ la Foggia, che riceve e fa salotto, assetata del bello e del sapere, specie quando le improvvisazioni del poeta “sollevano ovunque lo stupore, il fascino, il delirio”.
E’ la Foggia dove una minoranza, più o meno blasonata, composta da “una folla eletta di gentiluomini e di eleganti signore, non pochi sacerdoti dalla curia” accorre alla casa comunale e al c.d. “Contappiano” (corrispondeva ad un ampio spiazzo nei dintorni dell’attuale Via della Repubblica) ad ascoltare il Regaldi, “cigno carezzevole e affascinante” nelle sue rappresentazioni, anche improvvisate su richiesta, “versando strofe, come disse [di lui] Giosuè Carducci, e raccogliendo onori, amori e denaro”.
Una chiave di lettura quella che offre il Carducci che ci mostra l’altra faccia della porta, o meglio della medaglia, e pur riconoscendo capacità poetiche espresse in rima baciata, alternata, incrociate e incatenata che unisce a un bell’aspetto, facile agli innamoramenti [due a Foggia i pochi giorni] e fa innamorare, assume anche l’aspetto di un poeta itinerante, spesso ospite, che dalle sue capacità trae onori e sostentamento.
D’altronde è la Foggia dei possidenti da poco divenuti baroni e marchesi, la Foggia dei Villani, trascrittori di Storia Patria, che hanno sempre guardato da una certa altezza in su, infastiditi dai rumori e dalle sommosse di piazza.
Nei secoli scorsi Foggia è stata visitata, anche se solo di passaggio, da uomini illustri in ogni campo rimasti a volta male impressionati, a volte bene. Giuseppe Ungaretti ha lasciato “tracce scritte” del suo passaggio favorevolmente colpito dalla piana del Tavoliere: “Qui ha regno il sole autentico” e dal Piano delle Fosse: “Piazza ovale che non finisce più d’una strana potenza”. Il Regaldi preferì soffermare il suo sguardo compiaciuto sulle donne di Foggia lasciandosi ispirare dal loro fascino ammaliante.
Pannelli in cor-ten e retroilluminati , sono visibili i versi del sommo poeta Giuseppe Ungaretti tratti dalla raccolta Il deserto e dopo. Le Puglie,del 1934 – Arc. Valeria Procaccini –
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