Pasta mista

PASTA MISTA

di Raffaele de Seneen  e  Romeo Brescia

Guardate com’è bella, e come si presenta bene sugli scaffali dei supermercati attraverso il trasparente di una confezione cellofanata, la pasta mista ottima da abbinare con i fagioli, la morte sua: uno spicchio d’aglio (‘na sce’kàfe), una coda di sedano (l’àcce), una fogli d’alloro (u’ laùre), un’ombra di pomodoro (dùije pummadurìlle) e per chi può, colesterolo permettendo, un pezzo di cotenna di maiale (‘a còdeche de pùrche).

Sembra una novità questo tipo di pasta ma non lo è, affonda le sue origini nella povertà della gente di una volta e nel modo in cui veniva commercializzata e poi venduta al consumatore: sfusa.

Non c’erano confezioni in cartone o carta trasparente all’epoca, e per tutta la filiera, dal produttore al consumatore, fra trasporto, carico e scarico e conservazione nel punto vendita la pasta subiva un po’ di maltrattamenti.

Negli spacci alimentari spesso veniva conservata ed esposta in armadi con cassetti estraibili abbastanza grandi e profondi, ricoperti da un vetro sul lato a vista che permetteva di individuarne il tipo.

La pasta lunga: spaghetti, ziti, zitoni, ecc., prelevata a mano, pesata e avvolta in un tipo di carta cerata bluastra, quella corta prelevata con una “navetta”.

Tutta questa attività manuale provocava delle fratture alla pasta e il prodursi di schegge e pezzetti che si accumulavano e restavano, da ciò remasùglije, sul fondo del contenitore. Era la pasta dei più poveri che potevano acquistarla a prezzo più accessibile, previa prenotazione.

Bucci Salvatore ci porta a conoscenza che nel negozio di alimentari del Padre, oggi gestito dal fratello più piccolo, alla  fine anni 50 era in vendita “a ruttam” che era pasta sfusa specialmente lunga che era esposta in casse di legno basse ma di larghezza di 1×1 mt. Quando arrivava dal pastificio bisognava pulirla dai i fili di saggina provenienti dalle scope utilizzate per raccoglierla. Molto richiesta dai clienti trovava il suo impiego in cucina con i fagioli. 

Remasùglije,menuzzagghije, past’ammesc’kàte, spezzatùre, fracagghijùme, chiamatela come volete, quella era almeno fino agli anni ’50.

E prima?

E prima, oltre al pane di tre qualità anche  la pasta era di qualità e prezzi differenti, ce lo ricorda il cantastorie di Apricena, Matteo Salvatore:

Prima, seconda, terza qualità

pasta nera vulesse almeno magnà*

*https://www.youtube.com/watch?v=JxMrHksAyEU

 

 

 

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