3 / 7 / 43

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di Raffaele de Seneen

Non sono numeri da giocare al lotto, e dove poi di questi tempi!

Ma ad altri tempi mi riportano: mia madre ancora giovane, ne ho perso l’immagine e devo rifarmi con una foto d’epoca, e io piccino che ascoltavo i suoi racconti.

Spesso i suoi racconti diventavano animati perché prendeva le vecchie foto conservate e sfogliandole una ad una iniziava a dirmi di questo e di quello, di dove e di quando: un film muto, in bianco e nero e la voce di commento.

Trascorsero diversi anni e ad un certo punto  quel materiale fotografico si arricchì perché mia nonna, la madre di mia madre, venne a vivere con lei per un certo periodo portandosi stretta sotto il braccio una valigetta di cartone, marrone chiaro, piena anch’essa di fotografie di un’epoca ancora precedente.

Fotografie, forse una passione di famiglia che si spiega col fatto che mia nonna foggiana faceva di cognome Leone, e raccontava di un fratello caduto da una scala altissima mentre cercava di fare una foto panoramica di Foggia. Non fu l’unico fotografo in famiglia.

Morta la nonna, la valigetta restò a mia madre che bene pensò di riporre dentro anche le sue foto. Il film divenne molto più lungo, forse partiva anche un po’ prima del 1900 e proseguiva con foto di neonati, battesimi, matrimoni, qualche gita in campagna, foto di militari della Prima e della Seconda guerra mondiale.

Non avevo più bisogno della voce narrante per la parte più recente, anzi ad un certo punto, trascorso ancora del tempo, le parti si invertirono, ero io a fare la voce narrante per mia madre già più che novantenne, così per farle compagnia e stimolarla: “Te lo ricordi questo? E quest’altra?”. Mentre mi appellavo alla sua memoria “storica” per avere informazioni sulle foto più datate, quelle lasciate dalla nonna. Si sa che negli anziani i ricordi più “vecchi”, quelli formati da decine di anni, non risentono del calo della funzione dell’ippocampo (parte del cervello) e rimangono vividi e nitidi.

La valigetta ora è rimasta  me, si sono aggiunte anche foto a colori, di quelle più vecchie ho fatto dei piccoli album tematici con luoghi, date,  nomi e notizie per lasciare una traccia, un ricordo familiare a figli e nipoti, altre, molto belle, dove la memoria storica di mia madre non è stata d’aiuto le ho conservate con un punto interrogativo, a cui mai nessuno risponderà, sul retro.

C’è ancora roba nella valigetta, e il tempo di ora che somiglia molto ad una lunga e tediosa serata invernale di allora, mi ha stimolato a riaprirla. Forse non sono mai arrivato al fondo, né con mia madre né da solo, questa volta l’ho fatto, forse un richiamo, l’istinto non so.

Prelevato l’ultimo strato di foto, sotto a tutto, in un angolo, scivolati fra il lucido delle foto, forse per il peso e la consistenza, un pettinino che mia nonna usava per ornare  il “tuppo” dei capelli bianchi e lunghi dopo averlo fermato con forcine d’osso, un paio di pinzette per capelli, le “cicogne”, di alluminio, che usava mia madre per crearsi un po’ di movimento alla sua chioma, e due fedi nuziali se non d’acciaio d’argentone (alpacca).

Non le avevo mai viste, ma qualcosa ne sapevo. E quel che sapevo faceva parte dei commenti di mia madre che diventavano precisi e puntuali quando si arrivava a qualche foto del suo matrimonio.

Mi raccontava delle pene e dell’attesa del rientro dell’amato, poi mio padre, dalla prigionia in Russia, che quando andarono in Municipio “per dare parola” mio padre chiese a due sconosciuti di fare da testimoni, che la nonna gli diede i mobili della sua camera da letto e lei “si aggiustò con quattro cascette”, che le fedi le comprarono sopra una bancarella.

Una e leggermente più grande dell’altra, all’interno della più grande sono incise due lettere puntate, G. M., e una data: 3 / 7 / 43.

A quella data mio padre era già prigioniero in Russia, i miei genitori si sposarono il 5 settembre 1946.

Nell’ottobre del 1935 gli italiani furono chiamati a donare oro alla Patria. In quell’occasione molti donarono anche le loro fedi nuziali in oro sostituendole con altre di minor valore e vile metallo in attesa di tempi migliori.

Probabilmente le fedi utilizzate dai miei genitori e che io conservo potrebbero raccontare una storia del genere.

 

 

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