Asfodelo – I fùffele

ASFODELOI fùffele

di Raffaele de Seneen  e  Romeo Brescia

“Una sollecitazione di Marcello Ariano mi ha spinto ad andare a cercare un poeta di Capitanata, vissuto a Parigi per molti anni dove anche pubblicò tradotto, Umberto Fraccacreta, che scrisse questa “La canzone dell’asfodelo. L’ho ritrovata nel suo volume “Motivi lirici” pubblicato da Licinio Cappelli, a Bologna, nel 1936”.

Così scrive su Facebook l’amico Nino Abate, apprezzato poeta, bravo giornalista, che a noi, senza ali e comuni terricoli, ci riporta alla gente povera e semplice della Foggia di un tempo.

 

Era quasi un appuntamento, al calar del sole il terrazzano rientrava dalla campagna con una fascina di steli secchi di asfodelo, qualcuna in più se aveva un asino o un mulo. Sull’uscio della porta una donna, o un bambino a far da vedetta, accanto, sulla strada, una “fornacella” spenta.

“I fùffele pa’ ‘ppecciatòre!” gridava il terrazzano, così la donna si procurava quello che era il combustibile, la legna dei poveri.

Gli asfodeli, i fùffele, leggeri e secchi servivano ad avviare il fuoco (appecciàtore), ma anche a consumare meno carbone per portare a bollore l’acqua nella caldaia.

Quella era l’ora, l’imbrunire, tutti rientravano a casa, la tavola pronta per l’unico pasto comune e “sostanzioso”. A volte da servire in un unico grosso piatto di creta smaltato, da dove tutti prendevano con la propria forchetta: pancotto e verdura spesso, maccheroni la domenica.

Pianta in fiore di Asphodelus 

Ce n’è tanto di asfodelo dalle nostre parti, lo utilizzavano anche i pastori dediti alla transumanza per tener tese, col gambo secco e lignificato, le pelli di pecora messe ad essiccare per la concia; in Sardegna le donne lo raccoglievano ancora in fiore, quindi più malleabile per costruire cesti.

Pianta degli inferi, fiore dei morti, bastone di San Giuseppe i vari appellativi locali con i quali viene identificato. Alto, elegante, quasi timido però fra gli arbusti e le erbe selvatiche che lo circondano, a volte invece prevalente in una prateria tutta sua.

Tipico ai margini del bosco dell’Incoronata, e per chi conosce quei posti la sua presenza diventa di particolare significato, segna la strada, a destra e a sinistra, che porta al Santuario della Madonna, la strada che parte dal ponte del Cervaro, dallo “Scalzaturo”, il posto dove i pellegrini si toglievano le scarpe e proseguivano a piedi nudi, e ti lascia appena inizia il pietrisco il battuto, le “baracche” e oggi i ristoranti.

In questa bella ode del Fraccacreta ci trovi tutto, e ritrovi te stesso con gli occhi da bambino: pecore, pastori e pellegrini.

LA CANZONE DELL’ASFODELO

Mai dalla terra crebbe sullo stelo
un fiore triste come l’asfodelo.
Sul tratturo di Puglia torna maggio
e vi s’ingiglia il pascolo selvaggio.
Discendono le turbe in vesti nere
alla valle che s’empie di preghiere
e biancoroseo vien di ciglio in ciglio
l’asfodelo fiorito come un giglio.
Ancor più lente a suon di campanaccio
si muovono le torme dall’addiaccio:
partono per l’Abruzzo col pastore
che si volge a mirare il gran fiore,
e il fiore gli rammenta che in pianura
finita è ormai dell’anno la pastura.
Nei luminosi e tepidi mattini
e vanno greggi, vanno pellegrini:
la vision del giglio solitario
segue la turba fino al santuario,
che nel calice amaro e senza odore
sente come trasfuso il suo dolore.
Presto il fiore si spippola, si sfoglia
e sparge ai venti la sua vana spoglia;
e non ritrova che lo stelo scuro
il buttero che torna sul tratturo;
ma, se pure l’autunno opprime secco,
non s’accosta la pecora allo stecco:
appena nelle nari sente il lezzo,
dal cespo torce il muso con ribrezzo.
S’apre nel maggio il ciuffo carnicino,
e va il pastore, passa il pellegrino.
Oh mai la terra aderse sotto il cielo
un fiore triste più dell’asfodelo!

 

 Pubblicato il: 18 Apr 2021

 

 

 

 

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