‘A maèstre ‘u panarìlle

‘A maèstre ‘u panarìlle

Di Raffaele de Seneen

Un vecchio e ormai desueto modo di dire, specialmente oggi che di scuole pubbliche e private, di ogni indirizzo, ordine e grado ne abbiamo tante.
La nostra maestra, invece, quella del panierino, non aveva titoli e forse neanche predisposizione o vocazione, ma era solo una semplice donna del popolo che si elevava appena di una spanna sul suo restante mondo, sapeva appena leggere e far di conto.
A questo “modo di dire” ritrovato in un cassetto della mia memoria che l’amico Giuseppe D’Angelo, al secolo e in arte Pinuccio, ha involontariamente aperto, ne lego un altro: “ ‘A scòle ‘a Cevetèlle “ (la scuola della Civitella), che ricordo nelle sue varie forme ed occasioni di utilizzazione se non proprio in modo spregevole, almeno minimizzante, ridicolizzante: “Che sì jùte a Cevetèlle!?” (che sei andato a scuola alla Civitella?), a voler significare di aver imparato poco o niente.
Ora io non so se questa scuola “Civitella”, o qualcosa di simile sia esistita veramente, certo è che a Foggia esiste una via con questo nome che porta ad un omonimo Largo, il tutto nelle prossimità di Via le Maestre, toponimo che ha tutt’altra genesi rispetto a come lo si può leggere oggi.
Quindi, se qualcosa c’è stato di sicuro rispetto ad una scuola, alla sua ubicazione, può essere anche solo un caso questa contiguità toponomastica.

Rosa De Stasio copiaResta il fatto che il senso minimizzante dato alla scuola della Civitella, e l’improvvisazione della maestra del panierino, mi portano a farne un tutt’uno, o quanto meno a riscontrarne forti similitudini.
Ma torniamo alla nostra maestra del panierino, è Rosa De Stasio, classe 1896, bisnonna, ramo materno, del nostro Pinuccio.
Ce ne saranno state sicuramente altre a Foggia, nello stesso periodo di nonna Rosa, in altre epoche, luoghi, rioni, ma è già tanta la fortuna di averne “conosciuta” una: maestra Rosa, o meglio, come la conoscevano tutti: Rusenèlle ‘a maèstre ‘i criatùre.
Pinuccio ricorda che il marito di nonna Rosa   partì per la guerra, addetto alle comunicazioni, decorato, non tornò più.
A nonna Rosa, allora giovane, restò un figlio a cui cambiò il nome dandogli quello del marito deceduto in guerra, Peppenìlle, e dovette inventarsi un modo di vivere e tirare avanti, che mutò secondo i cambi di residenza in città.

Bimba con panariello
Prima in Vico Troiano, prossimità Via Arpi, una specie di locanda dove preparava il desinare per i forestieri che venivano a trovare i ricoverati all’ospedale e alla maternità, da ultimo in Via San Severo s’inventò “maestra”. Teneva a bada in casa sua i bambini che nel “panariello” (cestino), chi lo aveva, portavano un po’ di merenda.

Erano i figli più piccoli dei terrazzani del quartiere che glieli affidavano per esercitare la loro arte nomade della caccia, della raccolta delle erbe spontanee, nei periodi della coltivazione di piccoli campi a pisello o fave (i versurieri), della scerbatura o spigolatura del grano,

Per tenerli buoni e interessati fino al ritorno dei genitori bisognava impegnare quei bambini con racconti, filastrocche, semplici giochi e qualche rudimento sui numeri e sulle lettere dell’alfabeto, chissà mai fosse servito in età scolare.
E Pinuccio, foggianazzo, sentimentalone, memoria stoica della famiglia dice, riferendosi a nonna Rosa: “Alcune cose le ho dimenticate, ma questa no, perché a lezioni da nonna Rosa ci andavo anch’io”! e mi recita una piccola filastrocca:

A – tènghe a caca

E – il vasino non c’e

I – eccolo li

O – sòtte ‘o chemo

U – Nen tènghe a fa’ chiu

E per far imparare il nome delle dita della mano:

Giuseppe d'Angelo

Manemannìlle

(mignolo)

‘U port’anìlle

(anulare)

‘U cchiù lùnghe de tùtte

(medio)

‘U leccapiàtte

(indice)

‘U ‘ccida peducchije

(pollice)

Questa era nonna Rosa, ‘a maèstre ‘u panarìlle, chissà quanti terrazzanelli hanno imparato le vocali con questo metodo.
Le vocali, e forse i numeri fino a dieci, per quei tempi, già qualcosa.

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