Le case sparse…il borgo, la città

Le case sparse…il borgo, la città

di: Raffaele de Seneen
Foto: Romeo Brescia

Questi i cenni e i primi approcci geografici all’età della ragione, poi un grande bosco, quello d’Incoronata, due torrenti, il Carapelle da una parte, il Cervaro  dall’altra, ed oltre questo la grande città, Foggia, distante allora.

1-ONC

Le case sparse erano le case coloniche, quelle abitate dalle famiglie dei contadini, lavoratori della terra, allevatori di bestiame. Case tutte uguali, bianche, tetti rossi, un numero sulla facciate principale per distinguerle una dall’altra. Portico, pozzo, forno, silos per il fieno e stalla per gli animali, grande cucina e bagno a piano terra, qualche camera al primo per gli uomini. A giugno, in ogni aia, spuntava un grosso fungo giallo-dorato, la bica della paglia. Grano, grano e grano.

Il borgo, una trentina di famiglie, era il centro direzionale di quel vasto mondo agricolo di pionieri. Di lì partivano, o si venivano a prendere, le direttive d’ogni genere per la miglior conduzione dei terreni e l’allevamento del bestiame. I terreni, quelli promessi fin dall’Unità d’Italia e poi assegnati, almeno nel Tavoliere, per la prima volta, in maniera organica e consistente, ai reduci e combattenti della guerra del 15/18. Gente, il cui rapporto con la terra era stato al massimo di bracciante; poi calzolai, pescatori, manovali, muratori, insomma tutto il mondo delle arti e dei mestieri dell’epoca

2-ONC
A Foggia c’era il cervello direzionale del sistema borghi (Corso Roma, attuale palazzo del Consorzio di Bonifica), ce n’erano quattro, come i quattro punti cardinali.
La distanza fra case sparse e borgo, polvere bianca d’estate, fango d’invero, veniva colmata a piedi attraverso bretelle sterrate, o con mezzi a trazione animale, con la bicicletta, ma era già chic. Dal borgo alla città, dodici chilometri circa, erano tanti all’epoca, non per la lentezza dei mezzi, ma per la carenza.
Tante case sparse, tanti centri autarchici. C’era il grano, e se c’era il grano c’era la farina e quindi il pane, un orticello, un po’ di animali di bassa corte. Era già sufficiente. Qualche albero di olivo, qualche filare di vite a spalliera, ma avevano bisogno dei loro tempi per dare i primi frutti, a volte sacrificati dall’imperizia o dalla mala annata.
Il borgo era un centro autarchico solidale, già per il solo fatto che le case erano una attaccata all’altra, quattro stecche di fabbricati a due piani fuori terra che delimitavano la piazza con al centro la grande Casa comunale che non fu mai. Una chiesetta ricavata, la stalla comune, il forno comune, l’orto comune, a duecento metri il mulino di tutti, ognuno un pollaio.

SAMSUNG DIGITAL CAMERA

Lumi a petrolio nelle case sparse, poi luce a gas; corrente elettrica nelle case del borgo, che al primo vento e alla prima pioggia ci lasciava al buio; candele a portata di mano e lumi a petrolio.
Acqua di pozzo nelle case sparse, acqua di pozzo dai rubinetti delle case al borgo, oltre un barile di acqua potabile di 25-30 litri alla settimana.
Asilo e scuola elementare rurale per quelli delle case sparse e per noi del borgo. Poche maestre, una viveva al borgo, e come una chioccia passammo tutti sotto di lei. Due venivano dalla città, col pullman. In primavera ci portavano a fare qualche passeggiata nei prati, in campagna, la stessa che vivevamo per tutto il resto del giorno.

SAMSUNG DIGITAL CAMERA

D’inverno, riscaldamento a carbone, un braciere per aula. Dai comignoli delle case sparse e di quelle del borgo fumo di legna, la stufa economica, quella a legna, serviva anche per cucinare e produrre acqua calda in un’apposita caldaia posta di lato. Poi bracieri a carbone, di scorzetta di mandorle, quella buona, o di legna.
Mattoni riscaldati e avvolti in un panno di lana infilati fra le lenzuola rigide e fredde, e bottiglie ben tappate piene di acqua bollente per combattere il gelo.
Giochi nell’aia per quelli delle case sparse, in piazza per noi. Il pane fatto in casa, con la scorza scura, da portare in regalo ai parenti in città che ricambiavano col filoncino bianco.
Bella la città, grande, ma bello anche ritornare a casa, al borgo, su un autobus sbuffante e rumoroso, percorrendo la Statale 16, a destra e a sinistra le case sparse, bianche, i tetti rossi, la bica gialla della paglia al centro dell’aia, d’estate, il fumo dai comignoli, d’inverno.

SAMSUNG DIGITAL CAMERA

COpyright © 2014 tutti i diritti riservati

 

Articoli recenti