Il tenore partigiano

Il TENORE PARTIGIANO

contributo di LELLO SARACINO

Libro Stame

Per gentile concessione del giornalista LELLO SARACINO, autore del libro “Il tenore partigiano Nicola Stame: il canto, la Resistenza e la morte alle Fosse Ardeatine” edito da Alegre per la collana Quinto Tipo, recentemente dato alle stampe, si pubblica un estratto del capitolo V. Il libro è frutto di un lungo tempo di ricerche iniziate, rallentate, lasciate, riprese ancora sia per la difficoltà di reperire elementi, informazioni e documenti, sia perché l’autore non campa scrivendo libri. Però, è grande l’omaggio e il servigio reso alla città di Foggia per avergli restituito, nei minimi particolari, l’immagine di un suo figlio martire alle Fosse Ardeatine e gran parte del suo percorso terreno. E’ come se Nicola Stame fosse stato partorito una seconda volta.
Lo stralcio pubblicato è un preciso quadro storico-economico-sociale-culturale della Foggia in cui nasce Nicola Stame, impreziosito da una cornice che va più indietro nel tempo, ma poi ne riprende il corso riportando il lettore a un momento cruciale della Storia, che per Foggia ebbe a consumarsi il 26 ottobre 1922 con l’occupazione degli uffici pubblici e della stazione ferroviaria da parte delle camice nere guidate da Giuseppe Caradonna che diede inizio alla stagione del fascismo, momento in cui vengono segnate le sorti di milioni di italiani, fra le più tragiche quella di Nicola Stame. In questo stralcio del libro, lasciamo Nicola Stame all’età di 16 anni, è il 21 Maggio 1924, quando a Foggia arriva l’acqua potabile, evento segnalato dal getto della fontana del Brunetti in Piazza Cavour. L’autore del libro ipotizza che Nicola, è ancora un ragazzo, sia fra “gli increduli” di Piazza Cavour, ma non può darne certezza, potrebbe essere già altrove. Come, nonostante l’affannosa e accurata ricerca, troveremo altri altrove, come e perché di una vita così breve ma tanto intensa conclusasi a soli 36 anni.

 

Estratto del capitolo V del libro di Lello Saracino “Il tenore partigiano. Nicola Stame: il canto, la Resistenzal la morte alle Fosse Ardeatine”, edito da Alegre per la collana Quinto Tipo

volto stame 1

Nicola Ugo Stame

 

Il bambino che viene al mondo alle nove e trenta dell’8 gennaio del 1908 non ha scelto quando o dove nascere. Avesse potuto farlo, forse avrebbe evitato questa sofferente città del Sud che nulla più può vantare della «reale e inclita sede imperiale» di Federico II o della capitale del Regno di Sicilia amata da Carlo I d’Angiò, che qui visse i suoi ultimi giorni. Nessuna vestigia della colonia romana o traccia del passaggio dei Normanni. Zero del borgo che fu medievale. Poco o nulla della sede di corte scelta dal principe ereditario Francesco I di Borbone per le nozze con Maria Clementina d’Austria.

Simboli della damnatio memoriae il terribile terremoto che nel 1731 rade al suolo la città e il rogo che «una folla affamata e impazzita» appicca al Municipio nell’aprile del 1898, finendo col distruggere completamente l’archivio storico. Si legge nelle cronache del tempo:

Nelle prime ore del giorno una turba famelica prese d’assalto i forni e le panetterie. Recatasi poscia al palazzo della prefettura, fece un chiasso indiavolato dalla piazza con gesti e parole da trivio, perfino imprecando a Dio ed ai santi. Il prefetto Donati, fattosi al balcone, si illudeva di calmare quel brulicame, imperversante come tante belve, con belle parole, ma nulla ottenne, sicché fu costretto a farlo caricare dalla truppa, chiamata in fretta. Però i rivoltosi, sbandati in piazza della prefettura, si riunirono più tardi in altro sito, donde corsero ad assalire l’ufficio daziario che devastarono addirittura. Altri più audaci vennero risoluti in via Arpi con fascine ad appiccare il fuoco al palazzo di città. In breve le fiamme divamparono e distrussero miseramente l’ufficio tecnico e, con danno irreparabile, l’archivio, antico e geloso custode di un autentico tesoro cittadino. Fu un’ecatombe nel vero senso della parola.

Un mese dopo a Milano una simile sollevazione, dettata dalle misere condizioni di vita cui era costretta la popolazione, è repressa nel sangue dal generale Fiorenzo Bava Beccaris. I cannoni sparano sulla folla, a terra centinaia di morti. L’Italia li ricorda come i moti del pane. L’aumento delle tasse aveva messo in discussione lo stesso «diritto alla sopravvivenza», ebbe a scrivere Camillo Prampolini, uno dei leader nazionali del neonato partito socialista. Le maggiorazioni sul prezzo del grano a seguito del dazio doganale innescarono un vasto processo di reazione sociale lungo tutto lo stivale. Ma alle «imperiose necessità dello stomaco» il governo rispondeva con le baionette e le schioppettate.

La Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia di quell’8 gennaio porta tra i provvedimenti emanati un decreto che prevede la «sostituzione del regolamento per la fabbricazione dei pesi e delle misure». La chiesa festeggia San Severino, cui deve il nome la città di San Severo, situata a nord della grande pianura a poco più di trenta chilometri dal capoluogo. Sui giornali locali la notizia principale è lo stanziamento di cinquantamila lire per la bonifica delle lagune di Varano e Lesina. Spazio anche alle lamentele della regina madre circa la mancanza di strade comode per percorrere la costa del Gargano. E mentre i barbieri protestano perché vogliono far festa la domenica e non il lunedì, Foggia si prepara all’inaugurazione dei telefoni urbani. Le pubblicità ricorrenti sono quelle del Ferro China Bisleri, «il segreto per far ricrescere capelli, barba e baffi in pochissimo tempo», e delle «antimalarine» della Rizzo Corallo: due lire la cura per adulti in pillole, due e cinquanta lo sciroppo per bambini. Non manca la cronaca sulle pagine locali, con la notizia della rissa, pare per motivi di gelosia legata alla comune attività, avvenuta tra due venditrici di castagne in piazza Duomo. Per la cultura, i giornali segnalano l’uscita del libro contenente l’opera teatrale firmata da Gabriele D’Annunzio, La Nave, nella quale lo scrittore costruisce una tragedia che ruota attorno alla figura di un tribuno romano, uomo scaltro alla ricerca dell’elevazione al di là della sua semplice natura umana, «grande e ardito di fare ogni cosa», chiamato a liberare il suo popolo perduto nell’oblio della sua storia dominante, dimentico di essere erede latino.

In verità l’atto di nascita di Nicola Raffaele Stame – numero 265, parte I seria A – non riporta la data dell’8 ma quella del 22 gennaio. La firma in calce è dell’ufficiale dello Stato Civile, cavaliere Gustavo Vaccarella. Nel passato non era pratica insolita registrare in maniera tardiva i figli. Il giorno segnato sull’atto di nascita, un mercoledì, è la stessa mamma di Nicola che si reca presso la Casa comunale per denunciare l’avvenuto parto, alla presenza di due testimoni, i braccianti «Annibale Carta di anni trentanove e Lorenzo De Capite di anni quaranta».

Stato di Nascita Stame

Lei, la puerpera, ha solo ventidue anni ed è una casalinga. È nata l’8 marzo del 1885 ma all’anagrafe di Foggia viene registrata due giorni dopo: a recarsi al Comune per la denuncia è Teresa Pepe, di anni 44, custode della Ruota dei Proietti di via Civitella. Lucia, questo il suo nome, è stata abbandonata. Nicola non è il primo figlio: quattro anni addietro ha messo al mondo una bambina, Teresa, nata il 9 febbraio del 1904.

Come per Teresa anche il padre di Nicola non è noto, così prende il cognome della mamma, che si limita a dichiarare all’ufficiale dello Stato Civile – che fedelmente riporta il tutto nell’atto di nascita – come il neonato sia «il frutto di una unione naturale con un uomo celibe, né parente né affine».

Nicola Raffaele riceve il sacramento del battesimo il 28 gennaio nella chiesa di Gesù e Maria, a celebrare il sacerdote Consalvo Braccia, madrina tal Maddalena Falco.

Foggia_

Via La Spiga fotografata da un soldato americano nel 1944. E’ la strada dove è nato Nicola Stame, confluiva sulla centrale Piazza Lanza (oggi Piazza Giordano). Dopo la la guerra via La Spiga è stata intitolata al sottotenente Umberto Garofalo. La foto fanno parte della Collezione Gettysburg College, l’autore degli scatti è Albert Chance

La città che fa da sfondo alle vicende della famiglia Stame è il cuore agricolo della Piana del Tavoliere. Fino all’unificazione solo un immenso pascolo per le greggi che dall’Abruzzo scendevano a svernare. Una transumanza tassata del Regio fisco tramite la Dogana per la mena delle pecore, che qui fu istituita da Alfonso d’Aragona nel 1400 e che proibiva tassativamente la messa a cultura della pianura. Dopo l’unificazione, con la riforma del demanio, l’opera di dissodamento. Ma l’affrancamento delle terre è oneroso, così come le spese di coltivazione: il latifondo finisce nelle mani della ricca borghesia, prevale la grande proprietà terriera e il Tavoliere si trasforma nel «granaio d’Italia». Di contro, prende forma e consistenza il proletariato bracciantile, la città diventa polo d’attrazione di migliaia di lavoratori della terra. Nonostante la forte emigrazione interna e verso l’estero, Foggia passa dai quarantamila abitanti del 1881 ai quasi sessantamila dell’anno di nascita di Nicola.

In tutta la provincia si contano già centomila giornalieri occupati in agricoltura. Si tratta per la gran parte di masse di diseredati, costretti a condizioni di vita e di lavoro durissime. L’impiego è legato ai cicli produttivi e quindi vi sono lunghi periodi di disoccupazione. L’ingaggio avviene per salari da fame, la fatica dura dal sorgere al calare del sole. Il padrone è prepotente e rozzo. In questa temperie a Cerignola, trenta chilometri a sud di Foggia, si forma sindacalmente la figura di Giuseppe Di Vittorio. In questo clima da scontro di classe primitivo, quasi sempre violento, attecchiscono le idee socialiste e nascono sul finire dell’Ottocento le prime leghe di resistenza e associazioni di mutuo soccorso. Prodromi del sindacato che sarà.

Il pane costa quarantacinque centesimi a chilo, la pasta cinquantasei, la carne una lira e trenta; per una giornata di lavoro a falciare il grano ci si porta a casa meno di una lira. Agli inizi del Novecento aprono in città cucine economiche per distribuire razioni di pane e minestre a centinaia di indigenti. L’anno dopo, «per provvedere alla sempre crescente miseria delle classi infime della popolazione», la giunta municipale decide di aprire uno spaccio pubblico di pane di seconda qualità al prezzo di quindici centesimi al chilo, «almeno fino a quando non si saranno ripresi i lavori nella città e nelle campagne».

Alle schiavistiche condizioni lavorative si somma la pena di una vita miserevole dovuta anche al degrado urbano cui sono costretti le classi proletarie. Le case che abitano sono in larga parte bassi di un vano, senza servizi, senz’altra luce che la porta d’ingresso, costruite in maniera disordinata dopo il terremoto del 1731. Erano state pensate come provvisorie per far fronte all’emergenza post sisma, sono diventate definitive, addirittura una tipizzazione delle costruzioni in economia che contraddistingue i rioni più poveri della città, che non ha fogne né acqua potabile. Questo fa sì che diffuse siano le epidemie infettive. L’età media è bassissima, i bambini muoiono di polmonite, di tbc, si ammalano di bronchite. Tantissime le donne in attesa di un figlio che spirano per febbri improvvise e violente. Tanti i decessi per malnutrizione.

Ma se miseria e analfabetismo affliggono la maggioranza della popolazione, sotto l’influenza delle idee socialiste il malcontento fa sì che il movimento dei lavoratori agricoli in Capitanata diventi in pochi anni una grande forza. Organizzazioni consolidate, scioperi, agitazioni, movimenti di lotta. La Lega dei contadini di Foggia è la prima a nascere nel Mezzogiorno del paese. Al congresso costitutivo della Federterra del 1901 a Bologna, la Capitanata partecipa con quattro leghe e oltre quattromila iscritti. L’anno dopo saranno già seimila gli aderenti. Sono loro a dare vita al primo grande sciopero dei campagnuoli, che dura due settimane. Nel 1902 è costituita la Camera del lavoro, su spinta delle organizzazioni dei contadini, muratori, mugnai, panettieri, falegnami.

Non meno forte è la risposta padronale alle lotte dei lavoratori, soprattutto la repressione della polizia e dell’esercito, che difendono armi alla mano l’assetto proprietario e il diritto a imporre le estenuanti giornate di lavoro, i salari da fame.

Scontri e una lunga catena di violenze e omicidi bagnano di sangue le campagne del foggiano.

Candela, 1902: otto morti e numerosi feriti, più di cento arresti. Il brigadiere dei carabinieri che comanda la carneficina premiato dal Governo Giolitti con una medaglia d’onore e il trasferimento ad Ancona.

Cerignola, maggio 1904: tre morti.

San Marco in Lamis, marzo 1905, quattro morti.

A protestare non sono solo i braccianti: la cronaca d’inizio secolo registra un altro grave tragico avvenimento, uno sciopero degli operai delle ferrovie che viene soffocato nel sangue dai militari. Il giorno designato per la paga del salario, il 18 aprile 1905, vede la città capoluogo trasformarsi in un campo di battaglia. Dalla stazione alle strade del centro, è un susseguirsi di scontri tra lavoratori e le forze di pubblica sicurezza. A leggere le cronache del tempo, sono i Carabinieri a cavallo a caricare senza preavviso l’assembramento dei ferrovieri, a disperderli per le vie della città, a sparare. Ma a morire sono un barbiere, un contadino, un muratore sposato da appena un mese. Segno della cieca follia che ha armato i militari. Numerosi anche i feriti, tra loro un bambino e una donna.

Le già precarie condizioni di vita peggiorano durante l’estate, quando migliaia di lavoratori stagionali della terra, provenienti anche da altre province, affollano Foggia e le campagne circostanti. Questo è lo scenario che si presenta agli inizi del secolo al viandante che attraversa la città nel periodo delle grandi raccolte.

Quale impressionante spettacolo queste torme emaciate di lavoratori! Tanta povera gente distesa sui marciapiedi o dentro stalle ammonticchiata, per passarci la notte su miseri giacigli. E questo era il partito migliore. La maggior parte, per evitare il lungo cammino mattutino e serale per e dal luogo di lavoro, preferiva passare la notte in qualunque disagio. Di sera si assiepava qua e là, attorno a bracieri improvvisati, per fugare le nuvole dense di zanzare vaganti per l’aria, presso qualche casa colonica, non senza pericolo di infezioni e malattie.

È un estratto dalla relazione della Commissione d’inchiesta parlamentare per accertare le condizioni dei lavoratori della terra nelle province meridionali. È stata nominata nel giugno del 1906 su iniziativa dello stesso presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Giovanni Giolitti, che ha presentato alla Camera un disegno di legge. Quando la commissione d’inchiesta è approvata, il bilancio degli scontri tra lavoratori e forze dell’ordine è spaventoso non solo in Capitanata ma in tutta la Puglia, tanto da farla diventare la regione degli «eccidi cronici». Il governo vuole che si indaghi sulle condizioni sociali ma anche sulle «condizioni morali» dei braccianti. Sui loro mali e sui loro bisogni. L’urgenza motivata proprio a seguito dei continui «disordini interni» che caratterizzano le aree del Mezzogiorno. Le lotte e gli scioperi andavano assumendo sempre meno l’aspetto della momentanea ribellione per assurgere a quello di uno scontro di classe organizzato e con obiettivi ben precisi.

L’inchiesta viene affidata in Puglia al professor Enrico Presutti e si svolge tra la Pasqua del 1907 e quella del 1908. Il quadro che emerge è noto: un accentramento della proprietà terriera e di contro una grande massa di salariati agricoli, costretti a un lavoro e una vita indegna. Scrive Presutti: «Vi è in fondo nei proprietari la convinzione che i contadini non sono uomini come loro».

È in questo contesto di disperata lotta per la sopravvivenza, in una terra amara dove padroni e galantuomini dispongono delle vite dei cafoni, che viene alla luce Nicola. La casa natale è in via la Spiga al numero 14, una traversa di Piazza Vincenzo Lanza, medico foggiano che fu deputato al parlamento del Regno delle Due Sicilie. È un vicolo di case basse e sottani, ma a pochi metri pulsa il cuore della città nuova: botteghe, banche, viali alberati. Strade ampie e lastricate fanno da scenario alle passeggiate in carrozza della borghesia foggiana, come i due coupé napoletani trainati da un cavallo bianco ritratti in una cartolina d’inizio secolo. A poche centinaia di metri il Municipio e la stazione ferroviaria. A destra della piazza la Chiesa di Santa Maria della Croce e l’imponente struttura dell’orfanotrofio dedicato a Maria Cristina di Savoia. Dalla strada poi è possibile intravedere piazza Cavour e l’ingresso monumentale della Villa Comunale, progettato da Luigi Oberty.

«Ma è una sorta di miraggio», scrive lo storico Romolo Caggese nei suoi appunti di viaggio in Capitanata del 1905, pubblicati per la collezione di monografie illustrate dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche.

 Caffè gremiti fino a tarda ora, venditori ambulanti, un incessante via vai di gente. Un enorme numero di cocottes assedia i marciapiedi del corso della stazione fino a notte inoltrata. A guardarla così, questa città, restituisce un’aria gaudente, che può dare l’idea lontana di una grande città. Fuori dalle vie principali strade strette e sudice in modo da doversi armare di stivaloni per non correre dal sarto a rinnovare il vestito, specie d’inverno. La plebe è ineducata, qualche volta triviale, quasi sempre maestra di finzioni e di inganni. Le classi privilegiate, gli uomini di buona fama, addormentati fra le agiatezze e intente ad accumulare tesori, hanno smarrito ogni senso di vita intellettuale e quindi ogni sentimento del bello e dell’arte. Quando lasciate Foggia, pare di esservi liberati di un peso soffocante.

 Lo avverte anche Nicola, crescendo, questo peso soffocante? Prova anche lui quel senso di asfissia, in una città che a più riprese è afflitta da un’epidemia di colera e febbre spagnola che causa migliaia di morti? La più grave tra il 1910 e il 1913: è il sindaco Emilio Perrone, nel corso di un consiglio comunale straordinario, a comunicare una serie di provvedimenti utili a contrastare la diffusione del morbo. «Si ritiene necessario aumentare il numero degli spazzini e quello dei carri per la raccolta del letame e delle acque luride». Non mancano conferenze popolari «per illustrare le norme di igiene più elementari consigliabili per una protezione preventiva».

Patisce anche la fame, Nicola? La Prima guerra mondiale ha richiamato al fronte migliaia di contadini, piccoli proprietari, braccianti, provocando pesanti ricadute sulla già povera economia del territorio. Nel 1917, a due anni dall’inizio del conflitto, sono segnalati in provincia di Foggia centomila ettari di terre incolte, abbandonate. La produzione del grano passa da quasi tre milioni di quintali del 1913 a poco più di seicentomila del primo anno di guerra. I beni di prima necessità scarseggiano, i prezzi aumentano aggravando le già tragiche condizioni di vita dei più.

Il popolo muore di malnutrizione ma gli investimenti del Governo sono da periodo bellico. Su decisione del ministero della Guerra nel 1915 Foggia diventa sede di una scuola di volo per piloti militari. A pochi chilometri dall’abitato sono costruiti hangar, officine riparazioni, casermette, magazzini. La scuola dotata di aerei “Farman 12” e “Caproni”. Ben presto diventa tra le più importanti d’Italia. Nel 1916 viene decisa la costruzione di un secondo campo di volo a nord della città, dove si trasferisce la scuola “Farman” della Malpensa. Entrambe sono destinate all’istruzione di allievi piloti americani. A conseguire il brevetto da New York arriva a Foggia, con il grado di maggiore, anche Fiorello La Guardia, figlio di genitori emigrati, il padre Achille – un musicista che suona nella banda dell’esercito – dalla vicina Cerignola.

Ma la presenza di caserme e scuole di volo non porta certo ricchezza. Dall’aprile del 1917 è introdotta in tutta la Capitanata la tessera annonaria. Il pane, la farina, lo zucchero, il petrolio diventano per le famiglie strettamente razionati. Non mancano proteste di popolo, altri scontri con i militari. Il lavoro è anch’esso merce rara, aumenta il brigantaggio e il numero di disertori e renitenti alla leva.

Foggia conterà oltre cinquemila caduti in guerra. Nel 1918 solo la febbre spagnola ucciderà duemila persone. Alla fine del conflitto la situazione s’aggrava ancor più per le attese tradite dei reduci, che vorrebbero un’occupazione, magari un pezzo di terra da coltivare. Si comincia a parlare di «vittoria mutilata». Condizioni storiche e sociali che porteranno all’affermazione del movimento socialista alle elezioni per il Parlamento del 1919, quando a livello provinciale supera il trenta per cento dei consensi. Ma prendono forza anche istanze conservatrici e antiparlamentari, rappresentate soprattutto dai reduci della guerra, dai tantissimi mutilati e invalidi, che si organizzano in associazioni. Nel 1919 nasce quella dei combattenti, al cui vertice è nominato il cerignolano Giuseppe Caradonna. Nel 1920 è lui a fondare nel centro del Basso Tavoliere la sezione dei Fasci italiani di combattimento. Nel 1921 è eletto deputato.

Sarà sempre lui, il 26 ottobre del 1922, a guidare le camice nere nell’occupazione degli uffici pubblici e della stazione ferroviaria di Foggia. Si apre la stagione del fascismo.

Lapide Ugo Stame

La lapide in ricordo di Ugo Stame, collocata nell’atrio dell’antica sede dell’Istituto Tecnico Industriale “Saverio Altamura – Foggia –

Come lo vive questo imbarbarimento della vita politica, il giovane Nicola? È iscritto al Regio Istituto Industriale Saverio Altamura. Nata come scuola per formare meccanici e fabbri, negli anni si amplia con laboratori di fisica e chimica, di intaglio del legno, per carrozzieri, tappezzieri, verniciatori. Numero di matricola 832, l’allievo Nicola Stame, figlio naturale di Lucia – così come riportato sulla pagella della prima classe, sezione A – è ripetente. Ma il rendimento risulta essere buono: nelle medie trimestrali eccelle in disegno geometrico e ornamentale, dove i professori gli assegnano un sette. Porta a casa la sufficienza in italiano, storia e geografia, matematica, falegnameria. Va meno bene in plastica e officina di aggiustaggio, anche se poi recupera nella sessione estiva. In condotta merita un otto.

Nicola Stame foto scena

Nicola Stame in abiti di scena

Chissà se ha già scoperto di essere portato per il bel canto. A Foggia dal 1914 c’è la scuola d’archi, poi scuola di musica, in una città che ha dato i natali al compositore Umberto Giordano. Forse è roba da ricchi, per chi abita nei palazzi neoclassici del centro, non per chi vive in un basso, in condizioni precarie e che per avere acqua con cui lavarsi è costretto ad approvvigionarsi alle fontane pubbliche. Solo nel 1924 i foggiani possono beneficiare dell’acqua potabile in tutte le case. L’evento è festeggiato il 21 marzo in una piazza Cavour affollata di centinaia di curiosi e guardato a vista dal sacro tavolo della Madonna dei Sette Veli, la protettrice della città. Per l’occasione è inaugurata la fontana monumentale progettata dall’ingegnere Cesare Brunetti: rappresenta una stella marina a cinque punte, da dove zampilla l’acqua che segna il tanto atteso allaccio all’Acquedotto Pugliese. Cerimonia in grande stile, alla presenza delle autorità, celebrata dalla copertina de La Domenica del Corriere del 6 aprile 1924.

Chissà se Nicola, quel giorno, è tra gli increduli spettatori del potente getto d’acqua sparato verso l’alto dalla fontana o se invece è già tra le onde dell’Atlantico.

Locandina teatrale1

Locandina dell’attività artistica di Nicola Stame

Locandina Teatrale

Locandina dell’attività artistica di Nicola Stame

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nicola Stame foto scena 1

Nicola Stame in abiti di scena

 

Ogetti Stame

Al Museo della Liberazione di Roma, nelle stesse stanze di via Tasso dove le SS torturavano i partigiani, ce n’è una dedicata all’eccidio delle Ardeatine. Sono conservati anche oggetti appartenuti alle vittime. Tra questi, in una teca, vi sono il corista per intonare il La, un crocifisso, una madonnina e un bocchino ritrovati nella giacca di Ugo Stame

lista nomi ardeatine

Lista di alcuni nomi dei condannati , tra i quali rientra quello di Nicola Stame, stilata dal capo della Gestapo a Roma. La lista dei “Todeskandidaten”. Accanto ad ogni nome la spunta del capitano Erich Priebke, di conferma presenza e avvenuta esecuzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    

Pubblicato il: 20 Giu 2015

 

 

 

 

 

 

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