Luigi Pinto

LUIGI PINTO

 

Sono trascorsi 46 anni dalla strage di Piazza della Loggia a Brescia in cui persero la vita otto persone e oltre 100 rimasero ferite. Il più giovane tra le vittime aveva 25 anni, era il nostro concittadino Luigi Pinto.

Luigi figlio di una famiglia proletaria, aveva lasciato la città di Foggia subito dopo il diploma. Le sue prime esperienze lavorative furono come operaio in uno zuccherificio, minatore in Sardegna, e in fine come insegnate di Applicazioni tecniche nella scuola media che lo portò ad insegnare a Rovigo, poi a Ostiglia e a Siviano di Montisola, in provincia di Brescia. Nel settembre del 1973 aveva sposato Ada, una compagna della scuola, entrambi militanti comunisti.

Luigi Pinto muore dopo quattro giorni di agonia, l´1 giugno 1974, in seguito alle ferite riportate.

Oggi lo vogliamo ricordare con delle foto inedite ritrovate sul fondo di una scatola, ritraggono la manifestazione e la partecipazione della cittadinanza alla celebrazione funebre, le pubblichiamo di seguito con un articolo tratto dal giornale “L’Unità” curato all’epoca dall’inviata a Foggia Luisa Melograno.

 

L’immensa manifestazione a Foggia per i funerali dell’insegnante caduto a Brescia

Nell’omaggio a Luigi Pinto un impegno antifascista e di rinascita per il Sud

La grande testimonianza di unità e forza dei lavoratori che per ore sono sfilati davanti alla salma e per le vite cittadine – L’accorata rievocazione dei famigliari: “Lavorava al Nord, qui non si dà un avvenire ai giovani… Era contro la violenza, nemico della provocazione” – Tutti i partiti, tutte le associazioni democratiche accanto ai sindacati – L’intervento dei rappresentanti della Cisl e della Cgil e del sindaco di Foggia

Una immensa manifestazione, una partecipazione popolare quale mai qui si era vista. Ottantamila persone per le strade e le piazze. Un lungo corteo che ha sfilato per ore e ore: vie e larghi coperti di folla, operai, giovani insegnanti e braccianti, tanti, da sembrare tutti i braccianti del Sud venuti qui.
Il lutto dell’intera città si era avvertito già da molto prima perfino nelle piccole attività quotidiane: Foggia oggi, fin dalle prime ore del mattino, ha vissuto con ritmo diverso, nel silenzio e nel dolore, la giornata attorno alla salma di Luigi Pinto accolta nella camera ardente allestita con dignità austera nel municipio della sua città.

Il primo picchetto d’onore è stato quello composto dai rappresentanti della Camera del Lavoro, l’ultimo – prima dei solenni funerali che hanno avuto inizio alle 17 – è stato quello della Federazione sindacale unitaria: un modo di sottolineare la militanza sindacale di Luigi Pinto, insegnante, iscritto alla Cgil scuola, e il colpo che il suo assassinio ha inferto a tutti i lavoratori. Ma nella camera ardente, nel corso della notte e fino ad oggi pomeriggio, si sono alternati rappresentanti di tutte le categorie sociali, di tutte le associazioni e di tutti i partiti politici: le insegnanti del sindacato scuola, il consiglio di fabbrica della Buitoni, i rappresentanti della Federbraccianti e dell’ANPI, gli operai della Lanerossi, dell’ANIC, gli edili, gli autoferrotranvieri, le ragazze della Standa e dell’Upim, i camerieri in rappresentanza dei pubblici servizi, i giovani della Fgci e della Fgs, i cartai del Poligrafico dello Stato.
Le scuole sono state chiuse, tutte le altre attività si sono fermate per due ore dal momento dei funerali. Per le strade ogni manifesto pubblicitario è sparito sotto l’ondata di quelli listati in nero che annunciano la morte di un giovane antifascista.
Dentro al municipio, le corone, i cuscini, i mazzi di fiori non si contano. In un angolo della sala consiliare, i familiari del giovane martire si alternano in questa veglia pubblica che sostiene, con la straordinaria forza che sanno dare soltanto la solidarietà e la consapevolezza collettiva, il loro muto, straziante dolore. C’è la zia Maria, con il marito Luigi De Stefano (pensionato delle ferrovie), la zia Carolina, lo zio Biagio (pensionato dell’Inps) con la moglie Francesca, c’è la moglie di un cugino, Anna Lo Muzio. Dalle parole di Biagio Pinto esce il ritratto di una famiglia di lavoratori “che ha fatto sacrifici per far studiare i figli”, che è sempre stata unita e si è ritrovata ad esserlo ancora di più “dopo questo macello”. “Il ragazzo è vissuto nell’ambiente buono – dice lo zio – ed a saputo approfittarne, tanto era bravo. Ma è dovuto andare a lavorare lontano, perché da noi è difficile. Qui nel Mezzogiorno ci hanno dato poco, molto poco anche per questi giovani”.
La cugina Anna era amica di Gino – così lo chiamavano in casa – da quando erano studenti. Racconta che il giovane da studente ha lavorato allo zuccherificio, perché così “si comprava i libri per studiare: non voleva mai pesare ai suoi. È andato a lavorare in Sardegna, a porto Torres; ha fatto il concorso a Roma per la scuola; aveva vinto anche il concorso da conduttore delle ferrovie, e pur sapendo che cos’è stata la vita di suo padre, capotreno, avrebbe affrontato anche quella strada. Ma preferiva a tutto l’insegnamento. Trovava tutte le porte aperte, perché era intelligente, sottile nelle sue riflessioni e amava il prossimo. Quando c’è stato il terremoto in Sicilia, e accorso tra i primi a dare aiuto.”
“Appena saputo di avere la cattedra a Brescia – racconta ancora Anna Lo Muzio – Gino ha telefonato alla sorella più grande: “Giovanna, ho il posto assicurato per tutta la vita”. E poi era legato a tutta la famiglia, ad Anna, la sua seconda mamma (perse la madre nel ’62), ai due fratelli, a Nunzia, l’altra sorella. Dove hanno la coscienza a coloro che l’hanno ucciso? E a quale scopo? Volevano dividere i lavoratori: ora però tutti sono uniti intorno a noi. L’ultima frase che ricordo di Gino è questa: “non te la prendere, la vita è al di sopra di tutto.”

Lorenzo Pinto, il fratello diciassettenne di Luigi, è studente, fa il terzo anno all’istituto industriale elettronico, è iscritto alla Fgci: “ero il suo cacciunill, il suo cagnolino, gli andavo dietro appena potevo. A Pasqua lo avevo raggiunto con mio cognato, mia sorella, mio nipote e il suo grande amico Giovanni Pedone che fa il ferroviere a Milano. Scriveva a casa anche due, tre lettere alla settimana, a me insegnava come deve essere intesa la lotta politica, per non cadere nei tranelli o lasciarsi suggestionare da falsi obiettivi. “Non accettare provocazioni, mi diceva, non fare come gli altri che adoperano la violenza, noi siamo un’altra cosa”. Gino era contro la violenza ed è stato ucciso dalla violenza.”
È il muto impegno che si legge sui volti delle migliaia di persone che mettono la firma sui registri, sfilano nella camera ardente, si allontanano con i bimbi per mano. Pasquale Campagna e Giovanni Melfi, dell’Ataf (azienda trasporti) dicono: “È ora di finirla con i massacri. È importante che il governo assicuri la giustizia, bisogna vivere in un clima democratico e di libertà.” Vito Tamma, del consiglio di fabbrica della Buitoni, con il bracciale del servizio d’ordine Cgil – Cisl – Uil, afferma: “il livello di coscienza democratica si va sviluppando.” Domenico Limosani, Incoronata e Rosina Bizzarri, tre anziani contadini, sono venuti all’alba da Sannicandro, con la corriera: “Ieri lo abbiamo saputo per radio – dicono – e alle cinque siamo partiti. Siamo tutti commossi”. Gli operai dello zuccherificio Incoronata: “Tutti i lavoratori, operai, impiegati, professionisti, si trovano fianco a fianco. L’unità è la nostra forza, continueremo a batterci.”
I fascisti sono emarginati, completamente soli, come durante il potente sciopero generale del 29 e come il giorno 30, quando tutti i consiglieri comunali e il pubblico sono usciti dall’aula. nel momento in cui prendeva la parola il rappresentante del Msi. Il capogruppo della Dc, avv. Leonardo Dell’Orco, afferma: “Si tratta di una reazione popolare straordinaria: essa esprime anche la volontà che il Paese vada avanti. Antifascismo e unità rappresentano per il Mezzogiorno la grande molla del riscatto.”
Biagio Di Muzio, delegato regionale giovanile della Dc, dice che i fatti di Brescia fanno parte “della manovra per non affrontare i problemi del Mezzogiorno e per emarginare l’Italia dal contesto europeo, innescando la psicosi della paura perché si richieda l’ordine senza corrispettivo delle libertà politiche. Una manovra destinata a fallire.” Fernando Fischietti, del Movimento giovanile del PRI: “Siamo sdegnati di fronte alle trame di questo piano eversivo che ha portato la morte. Siamo qui tutti uniti per onorare la memoria e le idee di Luigi Pinto.”
Alle 17 nella piazza antistante il municipio inizia la cerimonia funebre con una messa solenne. La città è ora completamente ferma. La folla dilaga nelle strade intorno. Su di essa spiccano i labari, le bandiere dei partiti democratici, tante bandiere rosse. Poi si muove il corteo, con i familiari – il padre, la giovane moglie di Luigi Pinto e gli altri – con i rappresentanti del Parlamento, del governo, dei partiti, dei sindacati, con il sindaco di Foggia e con il vicesindaco di Brescia, seguiti da migliaia e migliaia di lavoratori, uomini, donne, giovani. Quando la lunga sfilata si ferma a Piazza XX settembre, prendono la parola gli oratori designati: Pellegrino Graziani, Sindaco di Foggia, d.c.; Salvatore Montrone, segretario della federazione unitaria della Cisl; Attilio Cericola, segretario del sindacato scuola Cgil. Parla anche il vicesindaco della città lombarda.
Nelle prime parole del sindaco di Foggia è di nuovo un richiamo all’impegno per difendere e sviluppare la democrazia, per battere le manovre eversive, per dire “basta” al fascismo. I clamori inopportuni di un non identificato gruppo di giovani turbano il clima severo della manifestazione. Il sindaco di Foggia ricorda il sacrificio di 20.000 cittadini nell’ultima guerra e il significato della Resistenza per rinnovare il “battesimo di democrazia” e per esprimere l’inequivocabile rifiuto ad ogni forma di violenza e ad “antistoriche nostalgie”. Egli annuncia che verrà intitolata una piazza a Luigi Pinto.
Infine conclude con un appello: “Parta dalla Puglia dell’antifascismo di Salvemini e di Fiore, dalla Daunia che registrò la rivoluzione pacifica dei lavoratori nel nome di Giuseppe Di Vittorio, l’estrema condanna per il vile attentato alla libertà, che invece esce irrobustita nel convincimento di un popolo.”

Il monumento collocato nei giardini di via Luigi Pinto, inaugurato il 31 maggio 2013, progettato dall’architetto Michele Sisbarra.

L’amico Lorenzo Brescia lo ricorda così: Gino faceva parte del gruppo di amici che frequentava il “viale”. Avevamo tutti gli stessi problemi, gli stessi sogni, le stesse aspettative. Lui, tra gli altri tentativi, riuscì ad ottenere l’insegnamento di materie tecniche, allora era possibile con il diploma tecnico. Qualche anno dopo i fatti luttuosi, io diventai collega di suo padre, persona squisita, C.tr. al d.p.v. di Foggia. A tal proposito ti segnalo che esiste una foto, dove in primo piano è visibile “il picchetto” dei ferrovieri.

 Raffaele de Seneen  e  Romeo Brescia

Pubblicato il: 28 Mag 2020

 

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